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Il Ruolo esclusivo dello Specialista Medico Legale

La valutazione del Danno alla Persona è diventata una prerogativa esclusiva dello Specialista Medico Legale, al quale spetta il compito di fornire agli Operatori di Giustizia tutti i dati di stima tecnica necessari alla definizione dei parametri “base”  delle componenti biologiche del danno non patrimoniale, ovverosia la percentuale di disfunzionalità – temporanea e permanente – e l’entità della sofferenza correlata.

L’evoluzione dottrinaria  medico legale sui  presupposti  accertativi tecnici del danno alla persona, ora unitariamente confluiti nel danno non patrimoniale, ha fatto emergere, in seno alla Società italiana di Medicina legale e delle Assicurazioni, alcune criticità circa la valenza probatoria del concetto di danno biologico rispetto alle effettive esigenze di parametrazione  liquidativa della componente base  del danno non patrimoniale. In tal senso vi è stato un arresto della Medicina Legale in contrapposizione alle attuali  modulazioni risarcitorie della componente  base  del danno non patrimoniale,  non potendo  sussistere – sotto il profilo strettamente “tecnico”-  alcuna corrispondenza automatica tra il parametro di disfunzionalità biologica  (inabilità temporanea e invalidità permanente biologica) ed il grado di sofferenza ad esse correlato. Ne deriva la necessità di una nuova rivisitazione medico giuridica della materia che consenta una migliore specificazione  tecnica dei parametri di accertamento medico legale, onde pervenire ad una più equilibrata e perequativa  definizione monetaria di quelli posti a  base per la   liquidazione delle componenti biologiche del danno non patrimoniale.

Premessa

La lettura della Sentenza n. 901/2001 ed in particolare quella n. 7513 del 27.3.2018 della Cassazione Civile  pone attualmente serie criticità interpretative medico legali e medico giuridiche sulla intrinseca nozione e contenuto del concetto di danno biologico, quale emerge dagli art. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni, in relazione all’acquisizione di una definizione tecnica medico legale di “danno biologico”, definita dalla Società Italiana di Medicina Legale nel lontano  2001, divenuta ora di difficile inquadramento nel contesto della più estensiva nozione di danno non patrimoniale. 

La parametrazione tecnica medicolegale

È nozione comune per qualsiasi specialista medico legale che la parametrazione dell’invalidità permanente biologica segue l’integrazione di parametri di riferimento tecnici contenuti nei cosiddetti Barèmes ove il presupposto valutativo è costituito esclusivamente e sostanzialmente da riferimenti di esclusiva disfunzionalità anatomica e/o psichica che integrano l’incidenza della menomazione accertata rispetto alle attività quotidiane comuni a tutti, con le uniche variabili connesse necessariamente all’età e sesso del danneggiato. Parametri tecnici che, in vero, non hanno subito alcuna modifica sostanziale allorché la valutazione della disfunzionalità anatomica e/o psichica passò – con l’avvento del danno biologico – dal concetto di danno alla capacità lavorativa generica a quello di invalidità permanente biologica, nonostante fosse mutato il presupposto valutativo dell’incidenza della menomazione: dalla ricaduta negativa sul “non fare reddituale” rispetto alla stima sul  “non  fare areddittuale”.

Il sofismo tecnico medico legale

A prescindere da tale “iniziale peccato veniale”, quali specialisti medico legali, accertatori della componente base del danno, dobbiamo necessariamente prendere atto che l’errore “concettuale” espresso nel c.d. “decalogo SIMLA” del 2001 fu quello di inserire in una parametrazione di natura disfunzionale, ovvero la ricaduta negativa sul fare quotidiano del danneggiato, anche una proporzionale ed automatica ricaduta negativa sul sentire del soggetto, portatore di una determinata percentuale di invalidità permanente (i c.d. aspetti dinamico relazionali), senza che la Ns. valutazione consentisse di differenziare, rispetto alla invalidità quantificata, quali fossero effettivamente le conseguenze medie della menomazione sul comune “sentire” di ogni danneggiato che non sempre possono coincidere con la “ realtà del danno non patrimoniale” quale appare dalla sola invalidità permanente biologica. 

In altri termini il ricomprendere i comuni “aspetti dinamico relazionali” nel concetto di inabilità ed invalidità permanente biologica è un sostanziale “errore interpretativo tecnico” , non avendo tali parametri alcuna valenza probatoria automatica sul sentire di qualsiasi  soggetto che ha patito una documentata lesione e che nella sua quotidianità convive con un’accertata e specifica condizione  menomativa. 

Ricomprendere gli “aspetti dinamico relazionali” nella componente di inabilità temporanea ed invalidità permanente biologica (parametri che incidono esclusivamente sul “non fare” del danneggiato) ha un significato solo nel senso di valutare quantitativamente gli “impedimenti” o difficoltà del danneggiato nel partecipare al contesto sociale, famigliare o relazionale (quindi un “generico non fare dinamico relazionale”), ma non può in sé ricomprendere la sofferenza del soggetto per il “non poter fare come prima” in conseguenza del mutamento peggiorativo della propria integrità psicofisica né tantomeno la sofferenza del danneggiato nel sentirsi “svalutato” né tantomeno la percezione intrinseca della componente di dolore nocicettivo (ove questo sussista).

In sostanza il parametro “quantitativo” del danno biologico ( cioè la IT e la IP ) non ha alcun rapporto con i generici  aspetti “qualitativi” della lesione e della menomazione. La sofferenza intima connessa al vissuto della lesione ed alla convivenza con la menomazione è una componente sempre presente nel danno alla persona accertabile dallo specialista medico legale: componente distinta da quella connessa ad altre peculiari   condizioni  “esistenziali” o  conseguente ad altri diritti violati , non direttamente riconducibili  all’evento lesivo psicofisico

Ad ogni disfunzionalità umana, conseguente a lesione psichica o fisica, corrisponde sempre un grado di sofferenza ad essa correlabile e definibile con differenti parametri “qualitativi”, accertabili anch’essi – in via convenzionale / presuntiva  – dallo specialista medico legale (dolore, disagio e degrado), unico soggetto idoneo a qualificare l’effettiva corrispondenza quali-quantitativa del danno, parametri che – si ribadisce- non son tecnicamente rapportabili in via “automatica” al grado di generica disfunzionalità accertata (inabilità temporanea biologica ed invalidità permanente biologica).

In tale ottica – onde chiarire equivoci interpretativi tecnici- è bene ricordare che l’apprezzamento del “dolore nocicettivo” non fa parte in se’ della stima dell’invalidità permanente biologica, ma – ove presente e oggettivamente valutabile – serve a motivare una maggior disfunzionalità, in genere di tipo articolare e quindi una maggiore quota di invalidità permanente biologica, ma non riguarda l’apprezzamento qualitativo  della “sofferenza” da parte di  quello specifico danneggiato ( in termini di “sentire” ,  oltre al  relativo “disagio nel non poter fare quotidiano”,  e alla ammissibile  “percezione del mutamento peggiorativo della propria integrità fisica” )  rispetto ad altro soggetto che ha analoga percentuale di invalidità, senza manifestazioni di dolore nocicettivo.

Cosa emerge  nella pratica  applicativa – I conseguenti  paralogismi giuridici e liquidativi 

Per fare un semplice esempio (vedasi il caso citato nella Sentenza n. 901/2001 della Cassazione e sostanzialmente ripreso nella Sentenza n 7513/2018), è sufficiente considerare che il riconoscimento di un 8% di invalidità permanente biologica per riduzione della capacità genitoriale, è totalmente differente da un 8% riconosciuto per gli esiti medi disfunzionali di una qualsiasi lesione fratturativa di un arto inferiore, ovvero da un 8% conseguente ad una perdita della funzione olfattiva ovvero – come spesso avviene nella comune pratica professionale – da un 8% derivante dalla somma di plurime microlesioni. Trattasi chiaramente di condizioni menomative quantitativamente analoghe, sotto il profilo di una parametrazione derivante  dall’applicazione dei comuni Barèmes medico legali, ma totalmente differenti per quanto riguarda le ricadute della menomazione, in sé distintamente considerata sotto il profilo qualitativo,  relativamente alle  ripercussioni sugli aspetti  “dinamico relazionali” e quindi alla condizione di “sofferenza intrinsecamente correlabile a quella determinata e qualificata  menomazione”.

Il  problema interpretativo tecnico medicolegale  – e di conseguenza risarcitorio – assume particolare rilevanza,  con evidente possibilità di sperequazione risarcitoria,  in relazione alla sussistenza del  limite normativo (il 9% di IP) posto che, stante l’attuale Baréme di legge, alcune menomazioni, pur definite “ quantitativamente “ al di sotto del 9% presentano aspetti “qualitativi” oggettivamente significativi  in rapporto alle ricadute personali e dinamico relazionali di qualsiasi soggetto (vedasi ad esempio la perdita del testicolo o dell’ovaio, esiti disestetici di moderata entità in donne di giovane età, perdita della funzione olfattiva, disturbi da adattamento post traumatico di moderata entità ecc.) col risultato che le stesse trovano minor riscontro risarcitorio rispetto ad invalidità biologiche, stimate con danni  pur di poco superiori al limite di legge, ma  costituiti da plurime condizioni menomative che – valutate singolarmente – hanno minor o quasi assente ricaduta su comuni aspetti dinamico relazionali e quindi sulla “sofferenza” del danneggiato.

Per fare un altro esempio si può arrivare a stimare  un danno biologico superiore al 9%  a seguito del  complessivo apprezzamento tecnico conseguente alla perdita della milza, senza residue  complicanze sulla crasi ematica (invalidità che viene  stimata nella misura dell‘8% con ricaduta dinamico relazionale pressoché nulla), assieme a  coesistenti esiti di un trauma minore del collo ed esiti dolorosi di singola  frattura costale: complesso menomativo  biologico che troverebbe paradossalmente maggior presupposto risarcitorio (con applicazione delle Tabelle di Milano) rispetto – ad esempio – alla già considerata perdita dell’ovaio in età’ fertile  o del testicolo in età post-puberale o per un danno estetico di moderata entità in soggetto femminile  o di altre condizioni menomative  individuate nel Baréme di legge  come “lesioni di lieve entità’” ma, al contrario, fonti di  rilevante “sofferenza correlata” per qualsiasi danneggiato/a.

Ciò senza voler entrare nel merito della proporzionale “disparità di liquidazione” delle relative componenti di Inabilità temporanea biologica e della conseguente disparità liquidativa allorché sussistano ulteriori ricadute della menomazione su peculiari o particolari aspetti dinamico relazionali dello specifico danneggiato.

Conclusioni e proposte 

In conclusione  – dovendosi inquadrare il danno biologico nel contesto del danno non patrimoniale – emerge l’evidente necessità di una parametrazione aggiuntiva alla Inabilità ed invalidità biologica, di natura “qualitativa” che non rappresenta “duplicazione di danno”, bensì specificazione degli aspetti di sofferenza connessi alla lesione ed alla menomazione accertata: condizione  definibile in via presuntiva dallo specialista medico legale, che è l’unico soggetto in grado di apprezzare l’elemento di prova fondamentale ai fini del danno, cioè la realtà clinica della lesione e della menomazione.

Il problema, se mai, è solo di quello di un adeguamento della parametrazione risarcitoria del “danno base” individuato nelle Tabelle di Milano, ovvero in  quelle proposte dal Tribunale di Roma, tramite l’applicazione  di suppletive   “percentuali” integrative IP correlate  secondo graduazione valutativa espressa in forma “qualitativa o numerica” da parte dello  Specialista Medicolegale, come tale  suscettibile  anch’essa di Contraddittorio tra le Parti in sede tecnica (anche in fase extragiudiziaria). Modulazione che potrebbe prendere a riferimento – in via analogica – il limite massimo  del 67% del danno biologico quale previsto ad esempio dell’art. 6 della Legge 3.8.2004 n. 206 in tema di liquidazione della cosiddetta “invalidità complessiva” (anch’essa costituita dal danno biologico e danno morale correlato).

Ciò ferma restando l’autonoma possibilità risarcitoria aggiuntiva al danno biologico “base”  per ulteriori  allegazioni, suffragate da adeguato riscontro probatorio,  conseguenti ad eventuali interferenze della lesione o della menomazione su peculiari aspetti dinamico relazionali dello specifico danneggiato, la cui definizione quantitativa , ovviamente,  non compete allo specialista  medicolegale (cui spetta, semmai, il parere di compatibilità con la menomazione accertata), così come non compete allo stesso la valutazione di possibili differenti  componenti “non biologiche” di  danno non patrimoniale conseguenti a violazione  di altri Interessi Costituzionalmente tutelati.

Peraltro, si deve considerare che aspetti quali “la disistima, la vergogna, la percezione del peggioramento della propria integrità” – ove autonoma conseguenza di lesione o menomazione, rappresentano comunque sempre aspetti “qualitativi” di un determinato danno biologico e come tali suscettibili di  “equilibrato e motivato”  apprezzamento medicolegale nel contesto del proprio  “accertamento tecnico”.

Il Segretario Nazionale SISMLA
Dott. Enrico Pedoja